Studio sulla mortalità tra le persone a cui è stata prescritta una terapia con agonisti degli oppioidi in Scozia

L’editoriale di Lancet che accompagna l’articolo ci ricorda che precedenti revisioni sistematiche hanno dimostrato che la riduzione del danno con farmaci antagonisti riduce il rischio di mortalità tra i consumatori di sostanze. L’articolo analizza una coorte di 46.453 individui scozzesi selezionati in base alle registrazioni prescrittive tra l’1.1.2011 e il 31.12.2020. Due terzi della coorte erano maschi, oltre la metà aveva più di 35 anni, e apparteneva al quintile più svantaggiato economicamente e socialmente del Paese. Quasi 7.000 partecipanti sono morti nel periodo di studio; poco più di 4.000 per cause direttamente correlate all’abuso di sostanze. La mortalità collegata agli oppiacei in Scozia è la seconda più elevata al mondo (dopo gli USA) ed è tre volte la mortalità attesa nella popolazione generale.
Lo studio rivela che pur essendoci un chiaro eccesso di mortalità (70% in più) tra coloro che hanno rifiutato i trattamenti farmacologici antagonisti e coloro che li hanno invece adottati, le due popolazioni dimostrano un aumento parallelo del rischio di morte che incrementa in maniera analoga nel tempo, pur mantenendo il differenziale iniziale. La problematica - di particolare rilevanza in presenza dell’epidemia da oppiacei evidente negli USA (aggravata dall’introduzione del fentanil) e in altri paesi di area OCSE, ma ancora relativamente invisibile in Italia - è di difficile interpretazione, essendo probabilmente la conseguenza del fallimento nel garantire un accesso tempestivo, continuativo e monitorato a servizi di riduzione del danno integrati sia sul versante sociale che su quello strettamente sanitario.
È evidente che continuare a offrire soluzioni puramente farmacologiche a persone la cui dipendenza è multifattoriale non è sufficiente a normalizzarne i gradienti di mortalità. Vanno pertanto ripensate le relative strategie e realizzati servizi distribuiti sul territorio e facilmente accessibili soprattutto a persone deprivate e marginalizzate rispetto alle comunità meno svantaggiate, rispetto alle quali dimostrano una mortalità generale 15 volte più elevata.

[McAuley A, et al. Lancet Public Health. 2023; 8(7):e484-e493.]